02/02/2016
IL MANICOMIO DI SONDRIO E LA GRANDE GUERRA

IL MANICOMIO DI SONDRIO E LA GRANDE GUERRA 

(Sala Vitali)

Un intermeeting (con il Rotary Club di Sondrio) davvero interessante quello del 2 febbraio alla Sala Vitali, per affrontare, nella ricorrenza dei cento anni dalla prima guerra mondiale, un tema dalle conseguenze devastanti: la pazzia.

Il Presidente del Rotary, dott. Salvatore Ambrosi, ha sottolineato che l’incontro è stato concepito come una testimonianza per tutti quei soldati che sono sopravvissuti alla guerra, ma non all’equilibrio mentale ed i tre relatori (la dott. Cristina Manca, il dr. Claudio Marcassoli ed il dott. Giuliano Balgera) hanno sviluppato i loro interventi in un intreccio tra “storia delle malattie mentali”, “malattie mentali da guerra” e “storia del manicomio di Sondrio”.

Nei tempi antichi, la malattia di mente era considerata una punizione divina ed il malcapitato veniva chiamato dai romani “mentecatto”, letteralmente “preso nella mente”.

Nel medioevo si è spesso pensato che alcuni individui avessero una possessione demoniaca, basti pensare alle streghe, che venivano “curate” con il rogo.

Nel ‘700 i devianti, i folli, ma anche i c.d. “scemi del villaggio”, venivano internati in strutture con semplici funzioni di custodia, per preservare la comunità da soggetti che ne minacciavano la tranquillità.

Solo con l’illuminismo, il movimento romantico e la rivoluzione francese si cerca di spiegare la follia come malattia e si cerca di classificarla, svincolandosi da spiegazioni sovrannaturali e dalla considerazione di una patologia fisica anziché psichica.

All’inizio del secolo scorso i medici che si interessavano di questa materia si chiamavano “alienisti” e la psichiatria stava cercando una propria identità.

Nel 1904, con Giolitti, viene approvata la legge sui manicomi dettata da ragioni di ordine pubblico per il ricovero dei soggetti pericolosi e nel 1909 escono i decreti attuativi con gli indirizzi per quanto riguarda norme igieniche, divisione tra uomini e donne, localizzazione delle strutture, ecc.

La costruzione del manicomio di Sondrio venne decisa nel 1906 e fu realizzato in soli due anni al Moncucco, poco sopra l’abitato, in un’area di 73000 mq. Fu intitolato al famoso neurologo italiano Carlo Besta, nativo di Sondrio. Prima i malati valtellinesi dovevano andare al S. Anna di Como, con costi elevati e gravi problemi per la lontananza

Era previsto un direttore, un medico primario, un assistente e 28 infermieri. Primo direttore fu, per 20 anni, il prof. Giuseppe Muggia (ebreo), costretto a scappare a Venezia, dove venne arrestato con i famigliari, deportato ad Auschwitz, e lì morì.

Con l’attenta e meticolosa consultazione dell’archivio del manicomio cittadino, messo gentilmente a disposizione dalla ASL di Sondrio, i relatori sono riusciti a raggiungere la finalità di ricordare il sacrificio di tutti quei soldati che ebbero gravissime conseguenze dalla guerra scoppiata il 28/7/1914, esattamente un mese dopo l’attentato di Sarajevo.

Una guerra totalizzante, che ha provocato una svolta epocale nei conflitti rispetto al passato.

Nel 1915 gli “alienisti” arruolati nell’esercito, per patriottismo o per lo studio delle “nevrosi da guerra”, erano 150 e si trovarono di fronte alle nuove patologie mentali che colpivano i soldati, specie quelli che si trovavano a combattere in trincea.

Pian piano viene introdotto il concetto di nevrosi traumatiche da guerra (shock da granata o da esplosione) e gli psichiatri hanno il compito di distinguere tra chi simula malattie mentali per ritornare a casa e chi veramente è malato, per allontanarlo dalla guerra ed evitare conseguenze sul morale degli altri soldati.

Ci si interroga sulle origini di tali malattie: dapprima si propendeva per una predisposizione del paziente-soldato, poi ci si accorse che l’evento, lo shock bellico, era sufficiente per creare una psicosi in una persona normale, specie se impegnata in trincea, dove la vita terribile, con poco spazio, scarsa igiene, poca luce, acuiva la costante tensione dell’attesa di un attacco, dal quale si sapeva che ben pochi sarebbero sopravvissuti.

I malati di mente venivano ricoverati negli “ospedaletti” da campo, realizzati per una permanenza breve, utile per il primo intervento, quindi venivano trasferiti in reparti speciali degli ospedali, nelle retrovie.

Le patologie, a volte, erano transitorie, il paziente recuperava ma, se si parlava con lui degli eventi bellici, la psicosi ritornava.

Dalle cartelle cliniche dell’archivio del manicomio di Sondrio, si è potuto riscontrare, negli anni della guerra, un aumento di ricoveri “maschili”, proprio determinati dalle conseguenze della guerra ed un calo, invece, di presenze femminili, probabilmente perché, data la particolare situazione, la presenza delle donne nelle case, nelle fabbriche, nei campi era assolutamente necessaria per coprire i vuoti causati da chi partiva soldato.

Negli anni ’30, i malati di mente venivano trattati con terapie empiriche, quali gli elettroshock (inventato dal valtellinese Ugo Cerletti), oppure inducendo la febbre o il sonno.

Spesso la psichiatria è stata asservita al potere, specie quello dittatoriale (nazismo o comunismo sovietico), per contrastare e segregare i dissidenti.

I primi farmaci per curare le malattie mentali compaiono nel 1950, fra questi sono diventati famosi il serenase e il valium.

Da quel momento il trattamento dei “malati di mente” è diventato sempre più “umano”, sino a pervenire alla famosa “Legge Basaglia” del 1978 che ha modificato completamente la psichiatria, imponendo la chiusura dei manicomi, sostituiti dal “trattamento sanitario obbligatorio”, ed istituendo i “servizi di igiene mentalepubblici”.

Ma questa è, ormai, storia recente.

Angelo Schena